Una storia millenaria, una tradizione imprescindibile

Bisogna andare indietro fino a prima dell’anno 0 per rintracciare le origini dell’Aceto Balsamico, poiché un prodotto della cottura del mosto, detto “sapum”, era utilizzato già dagli antichi Romani come medicinale, come dolcificante e come condimento.

Sono molte le tracce letterarie che giungono a noi e che raccontano storie sull’uso di questo speciale prodotto in tempi antichissimi. È il poeta Virgilio il primo a narrare nelle Georgiche (36-29 a.C.) come i Romani usassero cuocere e ridurre i mosti d’uva in diverse concentrazioni, che definivano “saba”, “caraenum” e “defrutum”, per ricavarne una sostanza dolcificante, non avendo a disposizione lo zucchero che venne introdotto in Europa solo nell’XII secolo con le crociate.

La traccia più vasta dell’uso degli aceti nell’antichità ci giunge, però, da Plinio il Vecchio che, nella sua Naturalis Historia, scrive di questa “acida sostanza”, condimento indispensabile per la cucina, per conservare legumi o frutti e per il suo utilizzo in farmacopea. Dalla stessa opera si apprendono anche alcune informazioni sulle prime produzioni di Aceto Balsamico e sulle tradizioni quasi magiche ad esse collegate e ancora oggi seguite , come quella che riconosce alla luna una funzione regolatrice dei cicli vegetali per cui tutte le attività in acetaia devono essere compiute durante la fase calante, quando cioè la luna è “buona”.

Ma la prima vera celebrazione dell’Aceto prodotto nel territorio modenese si ha nel 1046 grazie al monaco benedettino Donizone e alla sua Vita Mathildis. Qui si narra che Enrico III di Franconia, sapendo di dover attraversare quel territorio nel suo viaggio verso Roma, dove si recava per ricevere l’incoronazione imperiale, si fece anticipare da numerosi doni inviati a Bonifacio di Canossa, padre di Matilde, nella speranza di ricevere in cambio quell’“aceto perfettissimo” prodotto nelle soffitte del suo castello.

Da qui in poi le notizie sono certe e le fonti attendibili.

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Diverse informazioni arrivate fino a noi riguardano l’attività produttiva di aceto balsamico alla corte estense già in periodo tardo medievale. Antonio Vallisnieri, medico e naturalista vissuto all’inizio del XVIII secolo, scrive che nel 1288, quando Obizzo II d’Este divenne Signore di Modena, alla sua corte erano conservate numerose botti di aceto. Altre fonti di epoca rinascimentale informano, anche, del fatto che nel Registro Ducale Estense (1556) compariva la citazione di diverse tipologie di aceti e dei loro usi a seconda delle necessità.

Ancora, infine, un importantissimo riferimento letterario si rintraccia fra le righe della Satira III di Ludovico Ariosto, nato a Reggio e vissuto in ambiente estense, nella quale il poeta fa accenno ad un “acetto di sapa” utilizzato in cucina come condimento.

Ma Bisogna aspettare fino al 1747 per trovare l’aggettivo “balsamico” che compare nei registri della cantina dei duchi d’Este. Qui si parla, infatti, di “mezzo balsamico” e di “balsamico fine” che corrispondono agli attuali Aceto Balsamico di Modena e Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP.
Nel 1800, finalmente, l’oro nero di Modena comincia ad essere conosciuto anche a livello internazionale e nel 1863, per la prima volta, la scienza ufficiale si interessa al nobile prodotto e il professor Fausto Sestini scrive il trattato “Sopra gli aceti balsamici del modenese”. Infine, nel 1933 il ministero dell’Agricoltura riconosce con un atto ufficiale la “secolare e caratteristica industria dell’Aceto Balsamico del Modenese”.

E così si arriva fino a noi e nel 2000 l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena riceve il marchio DOP, mentre nel 2009 nasce l’Aceto Balsamico di Modena IGP. Ognuno di questi ha un disciplinare rigido da seguire il cui approfondimento rimandiamo però ad una prossima news.



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